E se la madre non si sente pronta? E' giusto rinunciare all'aborto?



Domanda originale:
Ritenete che sia cosa giusta rinunciare all'aborto anche nel caso in cui la madre non possa provvedere al bambino in maniera appropriata?

Risposta:

Per rispondere a questa domanda è opportuno fare una premessa: preso atto scientificamente che l'embrione è vita fin dalla fecondazione, con tutte le sue caratteristiche e a pieno titolo, l’aborto è di fatto la soppressione della vita del soggetto più debole tra quelli coinvolti.
Pare crudo fare questa affermazione, ma l’aborto è di fatto l’uccisione del più debole ed indifeso…

Una gravidanza che si sviluppi in una situazione considerata non idonea all'accoglienza della di un bambino, per incapacità della madre od altri fattori, e alla luce della premessa di cui sopra, chiede una riflessione profonda.

Suggeriamo qui alcuni punti di questa riflessione, e che sviluppiamo di seguito:
- l’aborto è una falsa soluzione
- una madre si può preparare con un amorevole aiuto di persone competenti, in un rapporto di fattiva solidarietà…chi può dirsi pronta?
- una buona società deve eliminare le cause di tipo economico che spingono all'aborto, anche per fondate ragioni di sviluppo demografico e di sostenibilità
- allo stesso modo debbono essere rimosse le cause di tipo medico-assitenziale di fronte a possibili malattie
- si possono valutare le modalità di accompagnamento nelle case famiglia, specie per le gravidanze conseguenti a violenze
- si possono valutare infine le modalità per l’adozione immediata senza riconoscimento del figlio (la cui madre non subirà gli effetti traumatici del post aborto, ma mantenere la sua stima per aver dato alla luce la vita)
- da conoscere anche la presenza delle “culle per la vita

L’ABORTO è UNA FALSA SOLUZIONE
La pratica dell’aborto sarebbe una falsa soluzione: in primo luogo lede il diritto fondamentale del bambino alla vita. In secondo luogo scatena gravi conseguenze neuro-psicologiche nella madre (ed anche nel padre).

UNA MADRE SI PUÒ PREPARARE…CHI PUÒ DIRSI PRONTA?
La “non adeguatezza” della madre deve esser verificata: è importante che la donna incinta sia aiutata da persone di fiducia, amorevoli e formate (noi consigliamo di farsi aiutare dalle operatrici dei CAV).
Un buon aiuto può portare a rimuovere tutte le situazioni di carattere psicologico od oggettivo che possano far sentire la madre inadeguata e non pronta.
L’esperienza dimostra che una madre, che dopo un combattimento interiore, ha deciso di accogliere la vita che porta in grembo, non ha mai rinnegato la scelta compiuta.
Ciò evidenzia che la preparazione ad accogliere una vita è graduale, che è una maturazione che può essere stimolata ed accompagnata, e che porta anche ad un deciso miglioramento dell’autostima della donna. Essa, nell’esperienza della gravidanza, trova una delle più alte motivazioni di bellezza e felicità.
A comprova di ciò si considerino, al contrario e a titolo di esempio le depressioni in soggetti che non riescono ad avere figli…

Ci si può quindi preparare ad accogliere la vita, e ciò può essere un “trampolino” per una vita ben realizzata in una donna, a dispetto di quanto una cultura individualista ci spinge a credere.
Essere madri è bello e realizzante.

RIMUOVERE LE CAUSE ECONOMICHE
La causa di maggior percezione di inadeguatezza è la condizione lavorativa ed economica. Qui sta la grave responsabilità delle Istituzioni e del contesto sociale che troppo spesso inducono all’aborto, facendosi complici dell’eliminazione della vita.
Una sana società è chiamata a farsi "culla della vita". I CAV hanno da molti hanno attivati i progetti “Gemma”, attraverso i quali una mamma viene sostenuta economicamente per accogliere la vita. Nella stessa linea i progetti “Nasko” avviati in Lombardia.
Ma non possiamo qui denunciare una grave mancanza di reale volontà politica – di qualsiasi schieramento – nell'attuare decisive politiche familiari e di incremento demografico (vedi approfondimento).

RIMUOVERE LE CAUSE MEDICHE ASSISTENZIALI DI FRONTE A POSSIBILI MALATTIE
Delicatissimo il contesto psicologico che si crea quando, durante lo sviluppo di un feto, emergano particolari patologie, malformazioni, ecc.
Di diverso tipo – ma comprensibile con le medesime considerazioni – le situazioni in cui il bambino sia stato generato da soggetti affetti da HIV.
Qui la società è chiamata ancora una volta ad indirizzarsi verso un orizzonte sano:
sopprimere la vita in questi casi è di fatto effettuare una selezione di tipo eugenetico.
Il ricordo corre alla “selezione della razza” e all’eliminazione dei disabili compiuta da numerosi regimi totalitari. (vedi anche quest’altra risposta).
L’orizzonte sano invece è quello di creare attorno alla madre e alla famiglia (se c’è) un contesto di supporto competente che faccia avvertire di “non essere soli”, e di essere sostenuti amorevolmente e con grande professionalità nell’accogliere la vita.
Accogliere un figlio disabile non può essere un “atto eroico” di una madre – se pur auspicato, ammirevole e stimato – ma deve esser un'espressione di accoglienza di un’intera società, che si attrezza con strutture e con un contesto culturale che possa “farsi culla”.
Le considerazioni a riguardo sarebbero moltissime.
Rimandiamo il lettore a conoscere, a titolo di esempio, la “quercia millenaria onlus”, realtà nata proprio per sostenere mamme e famiglie che vivono una gravidanza con evidenza di gravi problemi al feto.
Illuminante anche l’esperienza di Chiara Corbella ed Enrico Petrillo.
Da notare, rispetto agli aspetti medici, che sono numerose le diagnosi di malattie e malformazioni evidenziate da ecografie e analisi che si sono poi rilevate errate all’atto della nascita…

Un’ultima nota in questo paragrafo non può mancare rispetto al tema della ricerca e della sconfitta delle malattie:
la pratica abortiva NON sconfigge la malattia, ma la elimina, eliminando il feto, e quindi facendolo morire…
Ciò sta succedendo in modo evidente con i soggetti affetti da sindrome di down, soppressi in molti casi con la pratica dell’aborto, lasciando delineare i presupposti di una grave e discriminante selezione eugenetica fatta in un contesto falsamente democratico, dove di fatto il più debole non trova ascolto ma viene eliminato.
È invece da incentivare la sana ricerca, e quest’ultima – qui lo possiamo solo accennare ma meriterebbe un ampio approfondimento – NON può fondarsi sull’eliminazione di embrioni, perché di fatto diventa un “uccidere qualcuno per guarire qualcun  altro”.
Possiamo per esempio uccidere un malato per trarre dal suo corpo elementi per studiare e guarire la patologia da cui è affetto?
La deriva è aberrante…

L’ESPERIENZA DELLE CASE FAMIGLIA
Di fronte ad una madre che non si sente pronta, o il cui contesto familiare è ostile, o che si trova in particolari situazioni, come prostitute vittime di violenza ecc. è interessante narrare le esperienze di speranza vissute in quelle che vengono chiamate “case famiglia”.
Si tratta di piccole case protette e comunità, o semplici famiglie volontarie, allargate nell’accogliere - per un periodo più o meno breve od anche molto lungo - una madre in difficoltà.
Le madri che hanno usufruito di questa esperienza di solidarietà narrano di un “ritorno alla vita” ed una “nuova nascita” anche per se stesse.
Vi hanno fatto ricorso giovani ragazze i cui genitori erano ostili, donne maltrattate dai compagni, prostitute violentate…
Anche in questo servizio è lodevole l’opera del Movimento per la Vita e dell’Associazione Giovani XXIII. Per approfondimenti a riguardo visitare i siti linkati e prendere contatti diretti.

Da sottolineare infine che tali pratiche vengono quasi sempre fatte da operatori volontari e realtà no-profit, ma sarebbe auspicabile una politica che attivi servizi pubblici, assumendosi le proprie responsabilità nell’essere “politica per la vita”, e non politica complice nella “cultura dello scarto” .

FAR NASCERE IL BAMBINO, E LASCIARLO IN ADOZIONE.
Questa è una possibilità offerta dalla legge Italiana.
La riflessione è schietta: cos'è meglio? Uccidere il bambino con la pratica abortiva, oppure darlo alla vita ed affidarlo a genitori che possano crescerlo?
La risposta è chiara, e ogni “se… mah…” è irrilevante in ultima analisi…

Sono da analizzare con serietà gli aspetti psicologici: alcuni obiettano che la madre che ha deciso di far nascere il bimbo, dopo averlo portato in grembo per 9 mesi, per poi affidarlo ad altri, subisca un grave danno psicologico.
In verità la lettura è miope e distorta:
innanzi tutto è molto maggiore e distruttivo, con molti casi di tentato suicidio, il trauma post-aborto.
Riguardo all’uso dei termini non è corretto parlare di “abbandono”, ma di “affidare in adozione”. La madre infatti non è irresponsabile, ma proprio per il suo senso materno e la sua capacità di discernere le sue condizioni, decide di dare al bambino la vita affidandolo ad altri, se pur soffrendo il distacco.
Nel suo “bagaglio psicologico” ella porterà per tutta la vita la consapevolezza di aver offerto a suo figlio la possibilità di vivere, non di averlo ucciso...

LE CULLE PER LA VITA:
Da ultimo è doveroso citare le “culle per la vita”, diffuse in molte città, ed anche qui a Bergamo.
Si tratta di culle termostatiche poste in alcuni punti della città, dove una madre può lasciare il proprio bambino nato anche nel nascondimento… La culla è collegata a sensori che fanno subito intervenire operatori sanitari pronti a prestare le cure necessarie.
Il bambino, se non si ripresenta la madre nei tempi stabiliti per legge, verrà poi affidato dal tribunale dei minori ad una famiglia in grado di crescerlo.

...Concludendo 
Ti ringraziamo per aver fatto questa domanda che ci ha permesso di illustrare in modo articolato come di fatto ci si trovi ad un bivio tra la cultura della vita e quella della morte, la cultura dell'accoglienza e quella dello scarto.
E' necessario un percorso di riflessione e ripensamento rispetto alle politiche che hanno condotto a questo grave fenomeno sociale dell’aborto che continua nell'indifferenza generale, dove - oltre al bambino - viene ferita la madre e tutto il contesto relazionale.



- Comitato Scientifico -